La chimica nella produzione della frutta

     Il 2014 è stato un anno con una produzione di frutta significativa per quantità e qualità in alcune regioni. Mi riferisco soprattutto alla produzione di mele che è aumentata molto in conseguenza dell’intensa fioritura di questi alberi. Ma la produzione di mele, pesche e nettarine richiede anche frequenti trattamenti chimici nell’arco dell’anno. I trattamenti proseguono poi dopo la raccolta, per molti tipi di frutta come mele e pere (pomacee), per permetterne la conservazione e preservarle dall’attacco delle muffe.

     Come se non bastasse, negli ultimi anni la pratica del diradamento, necessario per garantire frutti meno abbondanti ma migliori per dimensioni e qualità, che una volta era manuale, viene effettuata con prodotti chimici. Dal raschiamento manuale dei rami per far cadere una parte delle piccole pesche o mele in eccesso, che richiedeva esperienza e molto tempo, si è passati a metodi più sbrigativi grazie ancora una volta alla chimica.

     Però in alcune zone dove i frutteti sono molto estesi, le analisi chimiche ambientali hanno evidenziato l’accumulo e la persistenza di questi prodotti chimici e, all’aumentato benessere economico e sociale della popolazione, si è affiancato un aumento delle patologie causate dall’uso eccessivo di fitofarmaci, diserbanti, diradanti, …

     Bisogna avere il coraggio di ammettere che la produzione e l’acquisto di frutta “perfetta” nella forma, nelle dimensioni e nel colore hanno un costo ambientale che si traduce anche in una “cattiva” alimentazione che porta all’assimilazione di sostanze pericolose per il nostro organismo.

     Senza citare il nome del prodotto diradante a base di metamitron, durante lo scorso mese di maggio in alcuni distretti famosi per la produzione di mele, a causa di questo diradante chimico, c’è stata una caduta eccessiva di fiori e piccoli frutti, con una grave compromissione del prossimo raccolto autunnale e le lamentele dei produttori. Segnalo che il metamitron è stato utilizzato per decenni (e lo è tuttora) come diserbante (erbicida) e le piante lo assorbono sia per via radicale che attraverso le foglie. Oltre alla nocività in sé di certi prodotti e al rischio del loro utilizzo, mi chiedo se sono sempre effettivamente rispettati tutti i tempi delle pratiche fitosanitarie per ridurre i rischi per la salute dei consumatori. Dal punto di vista normativo, l’Italia in applicazione della direttiva CE 128/2009 e del D. lgs 150/2012 ha approvato il Piano Nazionale per l’uso sostenibile dei prodotti fitosanitari (PAN) che prevede ulteriori adempimenti per le aziende (che non sono affatto contente), una maggiore sicurezza per gli operatori che utilizzano questi prodotti e, si spera, un vantaggio importante per l’ambiente e per la salute dei consumatori. Se questo PAN si traducesse solo in ulteriori adempimenti amministrativi e vincoli per i piccoli produttori con aziende a conduzione familiare o coltivatori diretti, a vantaggio delle grandi aziende, allora se ne poteva fare a meno.

     Ad ogni modo le pratiche migliori sono sempre quelle di “lotta biologica” e “integrata” , più costose e forse meno efficaci, con frutti non sempre bellissimi, ma senza l’uso di prodotti chimici pericolosi o con un uso ridotto di prodotti fitosanitari selettivi e a minor rischio per l’uomo. La loro diffusione però è legata alle scelte dei consumatori: un frutto “perfetto” ha dei costi in termini di salute per chi lo consuma e chi lavora per la sua produzione, oltre all’inquinamento ambientale delle aree di produzione.