Appello per la difesa della ricerca scientifica italiana

appello_ricerca_2016     Nell’Unione Europea le priorità sono sempre altre: le banche e i mercati, il controllo dei bilanci nazionali. Al primo posto ci sono sempre il mondo finanziario e l’economia. Le persone, l’istruzione e la formazione, la ricerca scientifica sono considerati sempre meno importanti.

     Decine di migliaia di scienziati e ricercatori, ma anche semplici cittadini, stanno chiedendo all’Unione Europea di pretendere dai singoli Stati nazionali anche adeguati fondi per la ricerca. Una soglia minima che sia valida per tutti, in modo da non avere le differenze attuali: da una parte alcuni Paesi come Danimarca, Svezia, Finlandia, Austria, Germania, che investono per la ricerca circa il 3% del Prodotto Interno Lordo (PIL) e altri come l’Italia che per lo stesso scopo investono solo l’1%. Senza considerare che altri Paesi fuori dalla UE e nostri concorrenti investono molto di più in ricerca: Israele (4,2%), Giappone (3,5%), Corea (4,1%). In queste condizioni, dovremo abituarci ai 100.000 giovani (per lo più i migliori laureati e dottorandi) che solo nel 2015 hanno abbandonato l’Italia: sarà la normalità anche per i prossimi anni!

      TESTO IN ITALIANO della lettera pubblicata su Nature il 4 febbraio scorso.

Chiediamo all’Unione Europea di spingere i governi nazionali a mantenere i fondi per la ricerca a un livello superiore a quello della pura sussistenza. Questo permetterebbe a tutti gli scienziati europei – e non solo a quelli britannici, tedeschi e scandinavi – di concorrere per i fondi di ricerca Horizon 2020.

In Europa i fondi di ricerca pubblici sono erogati sia dalla Commissione Europea che dai governi nazionali. La Commissione finanzia principalmente grandi progetti di collaborazione internazionali, spesso in aree di ricerca applicata, e i  governi nazionali finanziano invece  – oltre che i propri progetti strategici – programmi scientifici su scala più piccola, e operati “dal basso”.

Ma non tutti gli Stati membri fanno la loro parte. Per esempio l’Italia trascura gravemente la ricerca di base. Oramai da decenni il CNR non riesce a finanziare la ricerca di base,  operando in un regime di perenne carenza di risorse. I fondi per la ricerca sono stati ridotti al lumicino. I PRIN (progetti di ricerca di interesse nazionale) sono rimasti inattivi dal 2012, fatta eccezione per alcune piccole iniziative destinate a giovani ricercatori.

I fondi di quest’anno per i PRIN, 92 milioni di Euro per coprire tutte la aree di ricerca, sono troppo pochi e arrivano troppo tardi, specialmente se paragonati per esempio al bilancio annuale dell’Agenzia della Ricerca Scientifica Francese (corrispondente ai PRIN italiani) che si attesta su un miliardo di Euro l’anno. Nel periodo 2007-2013 l’Italia ha contribuito al settimo “Programma Quadro” europeo per la ricerca scientifica per un ammontare di 900 milioni l’anno, con un ritorno di soli 600 milioni. Insomma l’incapacità del Governo Italiano di alimentare  la ricerca di base ha causato una perdita di 300 milioni l’anno per la scienza italiana e  quindi per l’Italia.

Se si vuole evitare che la ricerca si sviluppi in modo distorto nei vari Paesi europei, le politiche nazionali devono essere coerenti tra di loro e garantire  una ripartizione equilibrata delle risorse.”

     La lettera è stata firmata da circa 58.000 persone. Chi vuole firmare può farlo a questo link: https://www.change.org/p/salviamo-la-ricerca-italiana .

     Si può anche ascoltare l’appello di Piero Angela a sostegno della ricerca scientifica italiana ed europea che in alcuni Stati è a livello di pura sussistenza, oppure l’appello di Giorgio Parisi dello scorso 25 febbraio: Salviamo la ricerca.

Crediti immagine: www.sciencedaily.com .

Fabiola Gianotti a “otto e mezzo” su La7

F_Gianotti-a-otto-e-mezzo-300x175      Ieri sera la trasmissione “otto e mezzo” di La7, condotta da Lilli Gruber, ospitava il giornalista Beppe Severgnini e in collegamento da Ginevra Fabiola Gianotti, designata direttore generale del CERN. Una puntata gradevole e anche più interessante del solito, incentrata sulla ricerca, la scienza e l’istruzione che propongo ai lettori di questo blog.

Preciso soltanto che non ho condiviso la domanda riguardante il credo in Dio e quella relativa al premier Renzi. Le opinioni sulle questioni religiose e politiche dovrebbero rimanere personali.

     Da sempre in Italia, purtroppo più che in altri Paesi, si fa fatica a comprendere ed accettare che la scienza, con l’insegnamento e la ricerca scientifica e la tecnologia sono le principali forze motrici del benessere di un Stato e dei suoi cittadini. Bisogna constatare con piacere che sono molti gli uomini e le donne che hanno successo, a livello internazionale, nei settori scientifici e dell’ingegneria. Questi successi però si raggiungono solo quando si prestano anni di servizio fuori dall’Italia, lavorando in gruppi transnazionali in vari centri di ricerca d’eccellenza sparsi in tutti i continenti e collegati tra loro. Fra questi in CERN è uno dei più prestigiosi, nel campo della ricerca delle particelle elementari e della fisica di base è il primo al mondo.

     Fabiola Gianotti, dopo aver coordinato l’esperimento Atlas che ha permesso di annunciare al mondo la scoperta del Bosone di Higgs (che le è valsa anche la copertina del Times), dal 1° gennaio 2016 fino alla fine del 2020 sarà il primo direttore generale del CERN, un Istituto di ricerca in cui le diversità sono rappresentate in tutte le forme: genere, provenienza geografica, gruppi etnici.

Non vado oltre e vi invito ad ascoltare la puntata “La signora della fisica” su La7.

 

I principali temi della ricerca scientifica nel 2015

mappa_fondali_oceanici     Alcune prestigiose riviste scientifiche alla fine di ogni anno propongono un bilancio delle attività di ricerca e delle scoperte scientifiche e tecnologiche più significative degli ultimi dodici mesi. Nature, nel primo numero del 2015, propone anche una previsione dei temi che saranno affrontati nei prossimi dodici mesi e che verosimilmente porteranno importanti risultati. Non sono temi nuovi ma rappresentano la continuazione di ricerche impostate nel 2014 e/o negli anni precedenti: ad esempio sicuramente si continuerà con la fisica delle particelle elementari, un settore che non è mai stato abbandonato da oltre un secolo, quando furono scoperti elettroni e protoni prima e i neutroni dopo, nel 1932. Questo settore riceverà un nuovo impulso perché ritornerà in funzione, dopo due anni di fermo, l’acceleratore Lhc (Large Hadron Collider) del CERN di Ginevra, il più sofisticato e potente strumento d’indagine sulla composizione delle particelle.

     Gli altri temi che hanno catturato l’attenzione dell’opinione pubblica, che richiedono approfondimenti e che promettono esiti interessanti sono: le missioni spaziali, con la continuazione della missione Rosetta e l’arrivo della sonda Down sull’asteroide Cerere; l’epidemia del virus Ebola sempre pericolosa e che in Africa ha prodotto circa ottomila morti; la ricerca delle onde gravitazionali ipotizzate da Einstein; i cambiamenti climatici causati dalle attività umane, responsabili di fenomeni metereologici sempre più estremi e catastrofici (ci sono grandi attese per le decisioni di fine anno, durante la Conferenza sul Clima di Parigi); le esplorazioni oceaniche dei fondali e lo studio delle loro particolari forme di vita, senza trascurare l’incessante ricerca di fonti energetiche fossili e forme di energia rinnovabili oppure la ricerca sui materiali semiconduttori e rari indispensabili per apparecchiature elettroniche sempre più sofisticate e miniaturizzate.

Per approfondire: Nature: What to expect in 2015 di Elizabeth Gibney.

Credit mappa dei fondali oceanici: web.tiscali.it .

 

 

Appello contro i tagli alla ricerca

tagli-alla-ricerca-300x200 Poche settimane fa ho scritto sulla perdita di competitività anche scientifica dell’Europa come una delle cause dell’attuale crisi di alcuni Paesi e della situazione di recessione di altri nell’ambito UE.

Voci molto autorevoli hanno pensato bene di scrivere un appello rivolto alle varie personalità politiche ed economiche europee per evitare ulteriori tagli alla ricerca scientifica. Una forte spinta verso la ricerca e l’innovazione possono trainare e accelerare l’uscita dall’attuale crisi. Mi riferisco sia alla ricerca di base, sia a quella applicata. I Paesi europei non possono competere su Cina, India e altre nazioni “emergenti” sul costo del lavoro. Possono solo continuare nella ricerca di materiali e tecnologie nuove, su nuove produzioni di prodotti di qualità. Se non si guardasse solo indietro, se ci fosse un po’ di lungimiranza, questo semplice concetto sarebbe chiaro anche per alcune persone che fanno politica.

Poiché i prossimi 22 e 23 novembre i leader europei si riuniranno a Bruxelles per discutere il budget per la ricerca per gli anni 2014-2020, riporto il testo dell’appello per proteggere la Ricerca Europea dai tagli dell’Austerity, firmato da oltre 130.000 docenti, ricercatori e studiosi tra cui, finora, 96 premi Nobel.

Ai capi di Stato o di Governo dei Paesi dell’Unione Europea ai Presidenti delle Istituzioni Europee

Si dice spesso che una crisi rappresenta al tempo stesso un’opportunità. La crisi attuale ci forza a fare delle scelte, e una di queste ha a che vedere con la scienza e il sostegno che le si darà. Nel 2000, voi e i vostri predecessori vi siete posti l’obiettivo di trasformare l’Europa “entro il 2010 nell’economia basata sulla conoscenza più dinamica”. L’intenzione era nobile ed ambiziosa, ma la meta non è stata raggiunta.

La scienza può aiutarci a trovare le riposte a molti dei problemi pressanti che ci si prospettano in questo momento: nuovi modi di ottenere energia, nuove modalità di produzione e nuovi prodotti, migliori strumenti per comprendere il funzionamento della società e migliorarla. Siamo solo all’inizio di una nuova comprensione rivoluzionaria del funzionamento del nostro organismo, con conseguenze inestimabili sul nostro futuro benessere e su una maggiore longevità.

L’Europa è all’avanguardia in molte aree della scienza. Trasformare questa conoscenza in nuovi prodotti, servizi ed attività industriali è il solo modo per dare all’Europa un vantaggio competitivo in un panorama mondiale che cambia rapidamente e per assicurare una prosperità futura e duratura all’Europa.

La conoscenza non ha frontiere. Il mercato globale per l’eccellenza dei talenti è estremamente competitivo. L’Europa non può permettersi di perdere i suoi migliori ricercatori e docenti, e guadagnerebbe enormemente se riuscisse ad attrarre talenti da altre parti del mondo. Ridurre il finanziamento disponibile per la ricerca di eccellenza vuol dire un minor numero di ricercatori preparati. Se ci fosse una seria riduzione del budget per la ricerca e l’innovazione da parte dell’Unione Europea, rischieremmo di perdere una generazione di scienziati di talento proprio nel momento in cui l’Europa ne ha più bisogno.

Da questo punto di vista il Consiglio Europeo della Ricerca (ERC) ha ottenuto in brevissimo tempo  un riconoscimento universale. Finanzia i migliori ricercatori in Europa indipendentemente dalla loro nazionalità: scienziati eccellenti, progetti eccellenti. E’ un complemento di grande valore ai finanziamenti nazionali per la ricerca di base.

Il finanziamento della ricerca a livello europeo agisce da catalizzatore per un uso migliore delle risorse disponibili e rende i finanziamenti nazionali più efficienti ed efficaci. Queste risorse europee sono estremamente preziose ed hanno dimostrato di essere in grado di produrre benefici essenziali per la scienza europea, di aumentare il ritorno a livello nazionale per la società e di migliorare la competitività internazionale.

E’ essenziale che si dia sostegno e, ancora più importante, ispirazione a livello pan—europeo alla straordinaria ricchezza di potenziale in ricerca e innovazione che esiste in tutta Europa. Siamo convinti che anche i ricercatori più giovani faranno sentire la loro voce – e Voi dovreste ascoltare quello che hanno da dire.

La nostra domanda per Voi, capi di stato o di governo e Presidenti che si incontreranno a Bruxelles il 22 e 23 Novembre per discutere del budget della UE per il periodo 2014–?2020, è semplice: quando l’accordo per il futuro budget europeo sarà annunciato, quale ruolo avrà la scienza nel futuro dell’Europa?

Firmato dai vincitori di Premi Nobel e Fields Medals (dopo se ne sono aggiunti altri)

SIDNEY ALTMAN, WERNER ARBER, ROBERT J. AUMANN, FRANCOISE BARRE- SINOUSSI, GÜNTER BLOBEL, MARIO CAPECCHI, AARON CIECHANOVER, CLAUDE COHEN-TANNOUDJI, JOHANN DEISENHOFER, RICHARD R.ERNST, GERHART ERTL, SIR MARTIN EVANS, ALBERT FERT, ANDRE GEIM, SERGE HAROCHE, AVRAM HERSHKO, JULES A. HOFFMANN, ROALD HOFFMANN, ROBERT HUBER, SIR TIM HUNT, ERIC R. KANDEL, KLAUS VON KLITZING, SIR HAROLD KROTO, FINN KYDLAND, JEAN–MARIE LEHN, ERIC S. MASKIN, DALE T. MORTENSEN, ERWIN NEHER, KONSTANTIN NOVOSELOV, SIR PAUL NURSE, CHRISTIANE NUSSLEIN-VOLHARD, VENKATRAMAN RAMAKRISHNAN, SIR RICHARD J. ROBERTS, HEINRICH ROHRER, BERT SAKMANN, BENGT I. SAMUELSSON, JOHN E. SULSTON, JACK W. SZOSTAK, SIR JOHN E. ADA E. YONATH, ROLF ZINKERNAGEL, HARALD ZUR HAUSEN; PIERRE DELIGNE, TIMOTHY GOWERS, MAXIM KONTSEVICH, STANISLAV SMIRNOV, CEDRIC VILLANI.

Petizione online contro i tagli alla ricerca

Immagine tratta da: http://www.torontosun.com/2012/07/10/scientists-mourn-governments-cuts-to-research

Perdita di competitività anche scientifica della cara, vecchia Europa

     Gli investimenti nella ricerca scientifica e tecnologica di un Paese hanno sempre fornito un importante vantaggio competitivo rispetto agli altri Paesi che hanno trascurato questo settore. Di questo si sono avvantaggiati nel secolo scorso le nazioni europee, il Giappone e soprattutto gli Stati Uniti. Ma oggi le cose stanno cambiando o sono già cambiate, lo dimostra la crisi economico-finanziaria degli ultimi anni. I Paesi che spendono meno in ricerca sono quelli che stanno subendo maggiormente la crisi, che è anche crisi industriale e sociale.

     La produzione industriale, la ricerca scientifico-tecnologica è aumentata considerevolmente nei cosiddetti “Paesi emergenti” (altrimenti non si chiamerebbero così), Cina e India in testa ma anche Brasile, Corea del Sud, Singapore, Taiwan, ecc. A livello di ricerca non solo c’è stato un aumento quantitativo della produzione, ma anche qualitativo, perché questi Stati continuano ad aumentare i fondi destinati al settore. L’aumento dei fondi permette di mantenere i ricercatori più validi ed evita che ci sia una forte emigrazione verso Stati Uniti, Australia, Canada ed Europa, come è successo in passato. Anzi, alcuni di questi Paesi (India a parte), che ormai non possono più considerarsi solo emergenti, incominciano ad attrarre a loro volta ricercatori dall’estero.

     Un’indagine statistica su circa 17.000 ricercatori di vari Paesi tenta di realizzare una mappa della ricerca mondiale che probabilmente confermerà questo spostamento verso gli Stati orientali e verso il Brasile. In altre parole, per le loro ricerche gli scienziati seguono il denaro, non perché siano venali: i ricercatori non si arricchiscono; ma perché consente loro di lavorare in laboratori attrezzati e vivere decorosamente con la famiglia.

     Recarsi in altri Paesi per la propria formazione è fondamentale. Ma se dopo una permanenza di alcuni mesi o qualche anno, si decide di rimanere per vari motivi e fanno questa scelta in migliaia, c’è un indubbio impoverimento della capacità di ricerca e innovazione del Paese d’origine. A parte qualche timido e inconcludente tentativo dell’ultimo decennio, la politica italiana della ricerca ha fatto di tutto per allontanare decine di migliaia di ottimi ricercatori. Naturalmente è ancora più bassa la nostra forza attrattiva verso i ricercatori stranieri: insieme all’India siamo il Paese che ne ha di meno (vedi il grafico tratto da http://www.nature.com/news/mfractions-jpg-7.6912?article=1.11602 ). La Svizzera ha addirittura oltre il 50% dei propri ricercatori che sono stranieri. Certo, si tratta di piccoli numeri in confronto agli Stati Uniti che figurano al quarto posto con il loro 38% di ricercatori di provenienza estera, soprattutto da Cina (il 17%) e India (il 12%)..

I risultati completi dell’indagine saranno pubblicati sulla rivista Nature Biotechnology nel prossimo dicembre.

 

A volte ritornano ma alcuni si pentono

ricercatori001Una volta, quasi in ogni famiglia c’era qualche emigrato in altri Paesi europei o in America se non in Australia. Quei tempi stanno tornando. Ad emigrare non sono più persone con un basso livello di scolarizzazione ma laureati, spesso con un dottorato, ricercatori. Gran parte di loro trova fuori dall’Italia (è facile in questi tempi) condizioni di lavoro favorevoli e un ambiente tanto accogliente che vi rimane. Io stesso ho conosciuto figli e/o figlie di colleghi (in alcuni casi solo i genitori) che dopo lauree e specializzazioni hanno trovato lavoro in Spagna, in Gran Bretagna o in Germania. Qualcuno negli Stati Uniti o in Canada. Talvolta, per vari motivi (amicizie, parentele, nostalgia dei luoghi d’origine, difficoltà di adattamento,  …) ritornano. Tra questi non sono pochi quelli che si pentono perché, pur trovando un lavoro, non riescono a fare ricerca come vorrebbero o come avevano sperato. Purtroppo, dispiace ripetere cose già lette e sentite da alcuni anni: l’Italia non è un luogo dove la ricerca scientifica è tenuta in considerazione. A parte la mancanza di finanziamenti, sono troppe e troppo potenti le istituzioni che si oppongono alla ricerca di base e applicata o comunque non la favoriscono.

            Meno di un mese fa, Radio3 e Radio3Scienza hanno dedicato la programmazione del 23 febbraio 2011 alle storie, alle speranze, alle difficoltà e alle passioni dei ricercatori italiani. Sia a quelli che vivono in Italia, sia a coloro che si sono stabiliti in altri Paesi. Certo è solo una piccola iniziativa, per la ricerca italiana ci vorrebbe ben altro. Finanziamenti innanzitutto, assunzioni mirate e basate sul merito, stabilità dei ricercatori e loro riconoscimento economico e sociale, strutture e attrezzature funzionanti, collaborazione tra pubblico e privato, meno vincoli di tipo giuridico e/o religioso.

Ma quanti sono i ricercatori in Italia? E negli altri Paesi europei nostri concorrenti? Quanto si spende per la ricerca? Ci aiutano una tabella e i relativi grafici. I dati ricavati da Eurostat e riferiti al 2009, riportati in parte anche sull’Espresso del 3 marzo 2011, sono impietosi. Ognuno può farsi un’idea della situazione in cui versa la ricerca in Italia. Probabilmente non serve a nulla lamentarsi e denunciare lo stato delle cose, ma stando in silenzio sarà ancora peggio.

Intanto si può ascoltare qualche brano tratto dal diario di Marie Curie (1867-1934), ricercatrice alla quale è intitolato il nostro istituto.

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