Lo zolfo in Sicilia

     Lo zolfo e la Sicilia hanno rappresentato per secoli un binomio vincente. Lo zolfo delle miniere siciliane, sfruttato fin dal periodo dell’Impero romano, ha rappresentato una ricchezza che, nell’ultimo secolo però è stata sfruttata male. Una ricchezza svanita a fine ‘800, quando negli Stati Uniti Herman Frasch ideò una tecnica che permetteva di ricavare zolfo a basso costo dalle miniere americane: il cosiddetto metodo Frasch. Declino favorito dall’atteggiamento “miope” dei dirigenti delle miniere siciliane che ignorarono i cambiamenti che stavano avvenendo negli USA e non misero in atto alcun ammodernamento dei sistemi di estrazione.

     Su questo blog è stato già scritto dello zolfo e dei suoi principali composti. In questo post, ricordando che lo zolfo forma composti in centinaia di diversi minerali, sottolineo che può trovarsi anche allo stato nativo. Soprattutto voglio ricordare le miniere siciliane da cui veniva ricavato questo elemento chimico che rientra anche nella composizione della materia vivente.

     Lo zolfo elementare è inodore, il caratteristico odore di “uova marce” che si trova in alcune sorgenti termali (Suio Terme) o nei pressi di alcuni vulcani (Vulcano, nelle Eolie) è dovuto ad un composto: il solfuro di idrogeno (H2S). Oggi l’utilizzo prevalente a livello industriale dello zolfo riguarda la produzione di acido solforico (H2SO4), necessario in molti altri processi.

     I principali giacimenti di rocce ricche di minerali di zolfo, in Sicilia si trovano nelle province di Enna, Caltanissetta e Agrigento, nell’area centrale dell’isola, definita “altopiano gessoso-solfifero”. Ma non mancano miniere anche nelle province di Palermo e Catania. Se si vuole cercare notizie su qualcuna delle centinaia di miniere siciliane: Wikipedia-zolfo_di_Sicilia.

     Riporto un breve brano, l’inizio de “Il fumo” dalla novella “Scialle nero” di Luigi Pirandello (1867-1936), Premio Nobel per la letteratura nel 1934, che fornisce solo una vaga idea del duro lavoro dei minatori:

Appena i zolfatari venivan su dal fondo della «buca» col fiato ai denti e le ossa rotte dalla fatica, la prima cosa che cercavano con gli occhi era quel verde là della collina lontana, che chiudeva a ponente l’ampia vallata.

Qua, le coste aride, livide di tufi arsicci, non avevano più da tempo un filo d’erba, sforacchiate dalle zolfare come da tanti enormi formicaj e bruciate tutte dal fumo.

Sul verde di quella collina, gli occhi infiammati, offesi dalla luce dopo tante ore di tenebra laggiù, si riposavano.

A chi attendeva a riempire di minerale grezzo i forni o i «calcheroni», a chi vigilava alla fusione dello zolfo, o s’affaccendava sotto i forni stessi a ricevere dentro ai giornelli che servivan da forme lo zolfo bruciato che vi colava lento come una densa morchia nerastra, la vista di tutto quel verde lontano alleviava anche la pena del respiro, l’agra oppressura del fumo che s’aggrappava alla gola, fino a promuovere gli spasimi più crudeli e le rabbie dell’asfissia.” Chi vuole può continuare la lettura dell’intera novella: http://www.classicitaliani.it/pirandel/novelle/01_003.htm .

Per approfondimenti sulla storia dello zolfo in Sicilia: http://www.instoria.it/home/zolfo_sicilia.htm .

Video storico (1963) di CinecittàLuce “Erano schiavi dello zolfo”; Documentario di TV2000 “Gli ultimi carusi delle miniere di zolfo in Sicilia”. Crediti immagine: commons.wikimedia.org3008 × 2000 .